Per dare la giusta definizione di rifiuto liquido è necessario parlare prima del concetto di scarico.
Stando a quanto stabilito dalla normativa vigente contenuta nell’articolo n.74, capo 1, lettera f), del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, può essere definito scarico “qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo recettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione”.
Nello specifico, per poter parlare di scarico è necessario che ci sia l’immissione, ossia l’introduzione di rifiuti di qualsiasi tipo mediante l’utilizzo di un sistema di reflusso, che non deve necessariamente essere un tubo o un impianto idrico. La particolarità di questo sistema è data dall’assenza della “soluzione di continuità”, il che significa che lo scarico deve avvenire in maniera diretta e pertanto non devono essere presenti interruzioni nel flusso.
Perché si possa affermare di essere in presenza di uno scarico, la normativa sostiene che i reflui non devono essere necessariamente di natura inquinante per l’ambiente, perciò anche l’acqua pulita che viene immessa in un recettore, un depuratore o un sistema fognario senza soluzione di continuità, quindi direttamente, rientra in questa definizione.
Il motivo per il quale è importante spiegare il significato di scarico, è legato al fatto che grazie ad esso si riesce a comprendere meglio il concetto di rifiuto liquido.
Nello specifico, è possibile affermare che ci si trova in presenza di un rifiuto liquido quando viene a mancare la soluzione di continuità e quindi vi è un interruzione del refluo tramite l’accumulo in una vasca oppure il prelievo ad opera di un autobotte.
Inoltre, a differenza del concetto di scarico per il quale il rifiuto può presentarsi in qualsiasi stadio, quello preso in esame, invece, può essere solo ed esclusivamente liquido.
Il concetto di rifiuto liquido è stato enunciato tramite un apposito Decreto Legislativo, il numero 22 del 1997, ai sensi dell’art.8, che successivamente è stato modificato con l’entrata in vigore del D. lgs n. 152 del 2006 che ridefinisce alcuni concetti. Attualmente, infatti, quando si parla di scarico s’intende un sistema di deflusso continuativo ed oggettivo, che trasporta in modo diretto le acque reflue, ma anche i rifiuti solidi, dal punto in cui vengono prodotte al luogo in cui avviene la loro raccolta.
La definizione precedente, ossia quella del D. lgs 152 del 1999, conteneva l’espressione “diretta tramite condotta” che nel nuovo Decreto Legislativo viene completamente omessa perché, a partire dal 2006, quando si parla di scarico non è più necessario che ci sia un sistema di tubature per il trasporto dei rifiuti.
Per poter applicare la disciplina in materia di scarico è fondamentale che ci sia la “soluzione di continuità” e che, quindi, non si presentino interruzioni nel trasporto dei reflui da momento in cui avviene la loro produzione, alla loro immissione in un recettore, un depuratore o un sistema fognario.
Al contrario, se si presentano momenti di soluzione di continuità, come ad esempio nel caso di reflui che vengono trasportati dalle cisterne tramite l’utilizzo delle autobotti, allora è possibile affermare che ci si trova in presenza di rifiuti liquidi. Essi non raggiungono direttamente il ricettore o i depuratori, perciò viene meno il requisito fondamentale per definire il concetto di scarico. In tal caso, infatti, è necessario ricorrere alla disciplina che si occupa dello smistamento di rifiuti liquidi.
La Corte di Cassazione Penale si è espressa mediante la pronuncia di n.25037 del 22 giugno 2011, con la sentenza III, definendo il concetto di rifiuti liquidi come quelle acque reflue che vengono smistate nell’acque superficiali o sotterranee, senza l’utilizzo di condotte di scarico e senza l’autorizzazione delle autorità competenti. Per questo tipo di infrazioni sono previste sanzioni penali, così come stabilito dall’art. 256 ai comma 1 e 2.
Per concludere possiamo definire in modo sintetico quanto detto finora, per comprendere meglio quali sono i rifiuti liquidi:
- rifiuti e scarti di lavorazioni che si presentano solo ed esclusivamente allo stato liquido;
- tali scarti devono essere immessi nell’ambiente, ovvero devono essere rilasciati nelle acque superficiali o del sottosuolo;
- NON deve esserci un sistema di tubature per il trasporto dei rifiuti liquidi per favorire il loro smistamento dal punto in cui vengono prodotte, al sito in cui avviene lo smaltimento;
- NON deve esserci l’autorizzazione da parte delle autorità competenti.
Se infatti, lo smaltimento di scarti allo stato liquido avviene nel rispetto della normativa vigente, allora si parla di acque reflue o di scarico e non di rifiuti liquidi.
Occorre precisare che la differenza tra queste due definizioni non riguarda, in alcun modo, la natura inquinante o meno dei liquidi di scarto. Infatti, la vera discriminante – stabilita dalla Parte III e dalla Parte IV del D. lgs n. 152 del 2006 – risiede nel modo in cui avviene lo smaltimento dei liquidi di scarto, ossia se sussiste o meno un collegamento diretto tra il luogo in cui è avvenuta la produzione delle acque e il sito in cui esse vengono immesse.
Questo tipo di rifiuto viene prodotto in contesti che possono essere estremamente diversi tra loro. Per comprendere meglio di cosa si tratta è infatti opportuno differenziare i rifiuti liquidi sulla base del luogo di origine e anche dei recettori.
Le acque reflue infatti possono essere immesse nei sistemi fognari, nelle acque superficiali (torrenti, fiumi, laghi e mare), nel suolo o gli strati superficiali del sottosuolo oppure anche nelle acque sotterranee.
I rifiuti liquidi possono essere caratterizzati da acque reflue prodotte in ambito urbano, domestico o industriale.
Le acque reflue domestiche, come è facile comprendere, provengono dagli insediamenti residenziali e dalle attività domestiche (cucinare, lavare, etc.)
Le acque reflue urbane, invece, sono prodotte da ambienti domestici, ma anche industriali e convogliano all’interno della rete fognaria.
Le acque reflue industriali, infine, sono generate dallo svolgimento di un’attività commerciale oppure svolta all’interno di uno stabilimento produttivo.
Può verificarsi il caso in cui le acque reflue di origine industriale e quelle di origine domestica siano assimilate. Questa circostanza è ammessa solo nel caso in cui le acque si formino in contesti commerciali o produttivi e che siano il risultato di un’attività legata all’allevamento di bestiame, alla trasformazione di prodotti agricoli, all’attività termali, ad impianti di acquacoltura e che abbiano caratteristiche qualitative simili a quelle domestiche, secondo i parametri fissati dalla normativa.
Quali sono le normative per lo smaltimento dei rifiuti liquidi?
Quello dei rifiuti liquidi è un argomento molto delicato, che deve essere tenuto distinto da altre fattispecie simili, come il concetto di scarico e di acque di scarico.
Cominciamo col dire che tutto quello che riguarda la questione rifiuti viene regolamentato dal D.P.R. 915 del 10 settembre del 1982. Da allora è stata fatta molta strada per disciplinare una materia decisamente spigolosa, soprattutto dal punto di vista dello smaltimento dei rifiuti.
Il 3 aprile del 2006 è stato emanato, tramite il D. lgs n.152, il Testo Unico Ambientale conosciuto anche come TUA. Esso rappresenta la normativa ambientale di gestione dei rifiuti, dei liquami e dei reflui.
È entrato in vigore a partire dal 29 aprile del 2006, eccezion fatta per la parte seconda del Testo che, invece, è diventata operativa dal 12 agosto dello stesso anno.
Il TUA è formato da 5 Parti che comprendono, in tutto, 318 articoli e 45 allegati.
Il discorso relativo all’acqua e alla sua destinazione è trattato nella Parte terza, alla Sezione II (Tutela delle acque dall’inquinamento).
Esso si occupa della normativa sugli scarichi, sulle acque reflue e sui rifiuti liquidi e si preoccupa di disciplinare la questione legata allo smaltimento.
A tale proposito l’art.255 stabilisce il divieto di abbandono di rifiuti di qualsiasi tipo, anche di quelli allo stato liquido. Inoltre, è fatto divieto di introdurre rifiuti liquidi nel sottosuolo o nell’acque superficiali.
L’articolo 256, invece, stabilisce che chiunque svolga un’attività irregolare di raccolta, recupero, trasporto, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti liquidi può essere perseguito dalla legge. In questo caso, infatti, si parla di gestione non autorizzata di rifiuti.
Per quanto riguarda l’articolo 256 –bis, questo si riferisce principalmente ai rifiuti solidi ma è comunque valido anche per quelli che si presentano allo stato liquido. Il suddetto articolo definisce reato la combustione illecita di rifiuti. Quest’articolo è stato introdotto con il D. lg numero 136 del 2013, per poi essere convertito nella legge n.6 del 2014.
Devono essere considerate illecite anche tutte le inesattezze burocratiche relative alla gestione dei rifiuti liquidi. A tale proposito si esprime l’art. 258 che definisce reato l’incompletezza del Registro di carico e scarico.
In seguito alla riforma di settembre 2017 quest’articolo è stato modificato, ampliandone il raggio d’azione, infatti, è da considerarsi reato qualsiasi violazione circa gli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri previsti dalla legge e dei formulari.
L’art. 259 si occupa di un argomento piuttosto delicato: il traffico illecito di rifiuti. Anche in questo caso ci si riferisce a tutti i tipi di rifiuti, anche quelli liquidi. Così come l’art.260, che è da considerarsi complementare al 259, dal momento che condanna qualsiasi attività organizzata con lo scopo di effettuare un traffico illecito di rifiuti.
Che sanzioni ci sono per lo smaltimento dei rifiuti liquidi fai da te?
Per ognuna delle infrazioni elencate è prevista una sanzione che può essere, in base alla gravità dell’operato, pecuniaria o penale. Su alcuni di questi articoli, la Corte di Cassazione è dovuta intervenire introducendo delle novità.
L’articolo 255 che sancisce l’irregolarità dell’abbandono di rifiuti o lo scarico abusivo di liquami nel sottosuolo o nelle acque superficiali, prevede una sanzione pecuniaria che va dai 300 fino ai 3.000 euro. Tuttavia, se i rifiuti in questione sono pericolosi per l’ambiente e la salute umana, la sanzione può aumentare fino al raddoppio.
L’ammenda prevista per questo reato è estesa anche al proprietario del terreno in cui è avvenuto l’abbandono di rifiuti, dal momento che è considerato responsabile, fermo restando la necessità di verificare se si è in presenza di colpa o dolo.
In merito all’articolo 255 si è espressa la Corte di Cassazione Penale (il 26 marzo 2012) stabilendo che l’ammontare della sanzione pecuniaria varia se a commettere l’illecito è un privato o un’impresa.
L’articolo 256, che si esprime in merito alle attività di rifiuti gestite senza autorizzazione, prevede sanzioni di tipo penale con la reclusione da 3 mesi fino ad 1 anno e il pagamento di un’ammenda il cui valore può andare dai 2.600 euro fino a 26.000 euro (se lo sversamento riguarda liquami pericolosi).
Sono state emesse diverse sentenze da parte della Corte di Cassazione, sia Civile che Penale, che hanno ampliato il raggio d’azione dell’art. 256. Attualmente infatti rientrano in questa fattispecie e sono perseguibili dalla legge tutti coloro che in modo continuativo oppure occasionale svolgono l’attività di gestione dei rifiuti sprovvisti di autorizzazione, pertanto si fa riferimento ai chiunque si occupi della raccolta, lo smaltimento, il trasporto, il recupero e lo scarico abusivo di liquami.
Nel caso in cui si venga accusati per aver appiccato il fuoco, provocando la combustione di rifiuti, la pena prevista per l’autore del gesto è la reclusione dei 2 ai 5 anni di carcere. Tuttavia, se nell’incendio sono coinvolti rifiuti pericolosi la pena è maggiorata di un anno (dai 3 a i 6 anni di carcere). Inoltre, se ha compiere il gesto è un’impresa o un suo addetto, la pena viene triplicata.
Questo articolo non si applica nel caso in cui ad ardere siano materiali di scarto delle lavorazioni agricole, forestali o di giardinaggio sia pubbliche che private.
L’articolo 258 è stato modificato e, con esso, anche le sanzioni previste per chi non adempie regolarmente agli obblighi di comunicazione, tenuta dei registri e dei formulari. Infatti, se si dovesse palesare questo reato per l’attore è prevista una sanzione pecuniaria che va da 2.600 euro a 15.500 euro. Inoltre, se i rifiuti che andavano verbalizzati vengono classificati come ‘pericolosi’ allora la sanzione prevista parte da 15.500 euro e arriva fino a 90.000 euro.
Se l’illecito consiste nel falsificare i dati relativi alla composizione chimica dei rifiuti e alla loro natura, ricorrendo ad un certificato falso, è prevista una sanzione pecuniaria che va da 1.600 euro a 9.000 euro.
Il traffico illecito di rifiuti invece prevede una sanzione penale che porta alla reclusione per un periodo che può arrivare fino ai 2 anni, oltre ad un’ammenda da 1.550 euro a 26.000 euro. Se il traffico riguarda rifiuti pericolosi, entrambe le sanzioni aumentano.
La Corte di Cassazione Penale Sez. III si è espressa il 20 settembre 2010 (Cc. 23.6.2010) con la Sentenza n. 33916 in merito al trasporto illecito di rifiuti. A tal proposito ha stabilito che, qualora si dovesse presentare questa circostanza, vige l’obbligo di sequestrare il mezzo di trasporto.
Inoltre, tale procedimento va disposto non solo in caso di contrabbando di rifiuti ma anche se, al momento dei controlli, non è presente il formulario oppure ci sono delle incompletezze nella sua compilazione, così come in caso di certificato falso circa la composizione chimica della merce trasportata.
La confisca del mezzo avviene perché rientra nelle cose che devono essere sottoposte a sequestro, in quanto utilizzate per commettere il reato.
Per i responsabili di un’attività organizzata per gestire il traffico di rifiuti è prevista, invece, la reclusione da uno fino a sei anni di carcere. Se i rifiuti in questione sono radioattivi e pericolosi, la pena prevede dai due agli otto anni di reclusione.